Questo è di sicuro l’errore più grande degli ultimi anni, ma non se ne parla nemmeno. Sicuramente siamo molto sorpresi da tutto quello che in queste ore è emerso, andiamo a scoprirlo da vicino.
Il calcio italiano sta affrontando una crisi silenziosa che minaccia le fondamenta stesse del suo sistema. Questa crisi non è legata a errori arbitrali o a scelte di mercato discutibili, ma a un problema ben più profondo e insidioso: l’assenza di guida. Negli ultimi anni, questa mancanza di leadership ha avuto un impatto devastante, diventando una nuova, pericolosa normalità.

Nonostante la sua gravità, questo tema rimane spesso escluso dal dibattito pubblico, ignorato come se fosse un dettaglio marginale anziché il cuore del problema.
La questione centrale è la presenza. La presenza di chi decide, di chi stabilisce le priorità e assume le responsabilità. Quando manca, si crea un vuoto che si manifesta in ogni aspetto del club: sul campo, nell’area tecnica e nella comunicazione esterna. Questo vuoto porta a una disconnessione tra i vari reparti del club, trasformandolo in un’entità senza direzione. Col tempo, l’assenza diventa una cultura accettata, una norma che mina le basi stesse dell’organizzazione. La leadership visibile diventa quindi un fattore cruciale, capace di definire il successo o il fallimento di una stagione.
Juventus: un caso di studio
La situazione della Juventus mette in luce il problema in modo emblematico. Secondo quanto riportato da Fabio Ravezzani su JuveLive su Twitch, il club ha subito un netto declino nella qualità della sua dirigenza, passando da una gestione forte e presente a una dirigenza latitante. La partenza di figure chiave come Marotta e Agnelli, seguita da scelte discutibili come la dipendenza da Paratici, ha lasciato un vuoto di leadership che ora sembra irrimediabile. La percezione di una proprietà distante e di figure apicali poco coinvolte aggrava la situazione, rendendo la comunicazione di vertice e la vicinanza al gruppo squadra più importanti che mai.

Per invertire questa tendenza, è necessario adottare un approccio diverso, basato su regole semplici ma fondamentali. Una voce unica nei momenti critici, una presenza costante in situazioni chiave e una chiara definizione delle responsabilità sono solo alcuni degli elementi che possono contribuire a ristabilire una solida leadership. Club di successo come il Bayern Monaco e il Real Madrid dimostrano che la stabilità non deriva dall’assenza di conflitti, ma dalla loro gestione efficace e visibile. Il calcio italiano, e in particolare la Juventus, deve riconoscere che l’adozione di un profilo basso non può e non deve equivalere a una rinuncia alla guida.
In conclusione, la differenza tra un progetto vincente e uno destinato al fallimento risiede spesso nella capacità di chi è al comando di farsi vedere, ascoltare e riconoscere. Senza una presenza al comando forte e riconoscibile, anche le stagioni più promettenti rischiano di rimanere in bilico, minacciate da un’instabilità costante.
Queste le sue parole: “La Juventus, come tutti i grandi club, è passata da avere grandi risultati con una dirigenza forte e presente, basti pensare a Marotta e Andrea Agnelli, con pessimi risultati e una dirigenza latitante. Dopo l’addio di Andrea Agnelli, ma soprattutto quando scompare Marotta e compie l’errore di basare tutto su Paratici, ha fatto più fatica. Ora, però, siamo di fronte a una proprietà che non si presenta proprio mai. Il dirigente principale, Comolli, non parla neanche italiano. L’allenatore se rimane solo e ha esperienza regge, gli altri vanno in confusione e sentono mancare la terra sotto i piedi”.




