La Juventus cambia tutto con l’arrivo di Luciano Spalletti, non ha scampo e i bianconeri sono costretti a venderlo.
C’è un punto in cui le necessità del campo s’intrecciano con quelle dei conti, e la Juventus, a inizio novembre, ci è arrivata in pieno.

Gennaio non sarà la solita finestra per ritocchi: servirà una scelta netta, quasi chirurgica. Da settimane, nei corridoi di Continassa rimbalza la stessa idea: per rimettere in moto il mercato in entrata, la Juve dovrà cedere un titolare. E non uno qualunque. Un giocatore che, con Luciano Spalletti, non trova spazio e — per usare parole dure ma realistiche — non ha scampo. Il nome resta in fondo al corridoio, ma la direzione è segnata.
Il tema, del resto, è duplice. Da una parte c’è l’equilibrio economico-finanziario: ingaggi, ammortamenti e l’urgenza di non accumulare svalutazioni. Dall’altra c’è l’identità tecnica: una squadra che ha bisogno di gol ma non può permettersi di tenerne di “bloccati” in ruoli chiave. È qui che il discorso si incrocia con la Nazionale: un calciatore fuori dalle gerarchie del CT perde visibilità, appeal internazionale e valore, e per la Juventus diventa un asset che si consuma a ogni mese che passa.
Juventus costretta a vendere
Il dibattito s’è acceso definitivamente quando Pierpaolo Marino, a “Ti Amo Calciomercato” di Calciomercato.it su YouTube, ha affondato il colpo sulla Juventus: “Il mancato riscatto di Kolo Muani è stato un grosso problema, David e Openda non stanno rendendo – le sue parole-. Secondo me c’è da prendere giocatori diversi. E tenere Vlahovic a mezzo servizio è avere una pedina sprecata, non si può pensare che possa risolvere le gare da subentrante. A gennaio poi bisogna cercare di incassare, per non rimanere con un pugno di mosche in mano. La Juventus dovrà ascoltare attentamente i suggerimenti di Spalletti. È sicuramente uno dei migliori allenatori che ci siano e di certo uno dei migliori che ho avuto, un po’ come Vinicio”.

Parole che fanno rumore, non solo per i nomi coinvolti, ma perché portano il discorso su un binario concreto: incassare a gennaio e mettere Vlahovic al centro del progetto, senza alibi. Se l’obiettivo è liberare risorse per intervenire davanti, da qualche parte bisogna tagliare.
E qui il corridoio finisce: il candidato alla partenza è Manuel Locatelli. Con Spalletti il suo spazio è stato limitato, le convocazioni altalenanti e — soprattutto dopo l’Europeo — le gerarchie in azzurro non lo aiutano. In bianconero resta stimato e professionale, ma l’equilibrio tra centralità tecnica e sostenibilità economica pende: una cessione ora massimizza l’incasso, rinviare rischia di ridurre la leva sul mercato.
Il ragionamento della Juve è pragmatico. A centrocampo, tra profili in crescita e soluzioni interne, il reparto può reggere un sacrificio se in cambio arrivano un attaccante complementare a Vlahovic e un esterno con gamba. In Premier League Locatelli ha estimatori di lungo corso, la Serie A offre piste più morbide ma meno liquide. Intorno ai 25-30 milioni la trattativa si accende, con formule creative che spalmano i costi e alleggeriscono il monte ingaggi. Non è un addio leggero sul piano simbolico, ma è il tipo di decisione che una dirigenza prende quando guarda oltre la prossima settimana.
C’è poi un aspetto meno visibile, ma decisivo: allineare club e Nazionale. Marino lo suggerisce senza giri di parole: ascoltare Spalletti significa anche calibrare i profili sui quali puntare, evitando equivoci tattici o convivenze forzate. Se Vlahovic dev’essere il totem offensivo, non può essere “a mezzo servizio”. E per sostenerlo servono gambe, gol, profondità. Il resto diventa negoziabile.
Non è l’ennesimo teatrino da calciomercato. È la presa d’atto che, oggi, la Juventus deve scegliere dove mettere il peso. E che certe scelte hanno un costo emotivo prima ancora che contabile. Ma a gennaio, al netto dei sentimenti, conterà solo una cosa: non restare con un pugno di mosche in mano.





