Caprile svela il retroscena dopo anni: ecco perchè è andato via da Napoli

L’azzurro Elia Caprile ha svelato il motivo per cui è andato via da Napoli. Ecco il retroscena che ha rivelato dopo anni il portiere.

C’è un momento, per chi vive di pallone, in cui le scelte contano più delle maglie. È quando capisci che non bastano gli applausi della vigilia o le foto in ritiro: serve campo, serve sudore con la domenica addosso. E qui, diciamocelo, il ruolo del portiere è una religione a parte: si nasce soli, si cresce coi guanti e si giudica alla prima palla sporca.

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Caprile svela il retroscena dopo anni: ecco perchè è andato via da Napoli (Instagram @eliacaprile) – referendumcittadinanza.it

Dentro questa bolla emotiva c’è Elia Caprile, uno che oggi vede azzurro e domani vede pannolini. Non è un paradosso: è la vita che accelera. E allora ecco il retroscena che ha svelato il portiere e il motivo per cui è andato via da Napoli.

Il retroscena svelato da Caprile

Caprile lo dice chiaro: è stato Gigi Buffon a farlo innamorare del ruolo, dei guanti, delle responsabilità. Non solo il modello tecnico, ma l’idea che il numero uno sia una sentenza, non un numero. E adesso che è arrivata la prima convocazione con l’Italia di Gattuso, Caprile non fa melina: la Nazionale è il coronamento di un sogno cullato da piccolo, sì, ma è “un punto di partenza e non di arrivo”.

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Il retroscena svelato da Caprile (Instagram @eliacaprile) – referendumcittadinanza.it

Lo ha raccontato a Vivo Azzurro TV con una serenità che sa già di spogliatoio vero: è arrivato fin qui con i sacrifici, non si aspettava la chiamata e la prima persona a cui l’ha detto è stata la fidanzata. Classe 2001, portiere del Cagliari, a breve papà. E qui scatta la domanda che ci facciamo tutti: come si gestisce la testa quando, nello stesso momento, ti chiama l’Italia e ti chiama la vita? Con quella fame tranquilla di chi non si accontenta: Caprile la racconta così.

In mezzo c’è anche la concretezza del calendario: l’Italia di Gattuso scenderà in campo con Moldavia e Norvegia per le ultime due gare di qualificazione ai Mondiali. Il contesto non è banale, il peso specifico nemmeno. È lì che la parola “responsabilità” assume un suono preciso.

In pieno Covid, Caprile ha fatto le valigie ed è andato in Inghilterra, al Leeds. Non per turismo. “L’esperienza all’estero è stata fondamentale, mi ha aperto la mente”, dice. Tradotto: adattarsi a una lingua che non conosceva, a metodi diversi, a un calcio che ti mette alla prova anche fuori dall’area piccola. Il timbro ce l’ha messo pure Marcelo Bielsa, con una prima convocazione in Premier League che “non si dimentica”.

Caprile non scorda nessuno: ricorda gli allenatori che ha avuto – Nicola, Conte, oggi Pisacane – e lo fa senza retorica. A margine, la famiglia: “Senza i miei genitori non sarei la persona che sono, né il portiere che sono e non sarei arrivato in Nazionale”. Che poi è il modo più semplice per dire dove nasce la tenuta mentale di un numero uno.

Ma perché Caprile ha lasciato Napoli? Niente giri di parole: “Io mi alleno per giocare, se non ho la partita soffro tanto, mi piacciono le responsabilità. Sono andato via da Napoli perché non vedevo uno sbocco per giocare”. Non c’è polemica, c’è identità. Preferire il campo alla vetrina, la domenica alla panchina. È una scelta che nel calcio moderno, innamorato dei grandi nomi sul tabellone, sembra controcorrente. In realtà è la più antica: un portiere senza minuti perde la misura della porta.

Oggi la felicità è Cagliari, dove lo chiamano “Sant’Elia”. Simbolico, quasi inevitabile. Ma Caprile frena gli entusiasmi facili: “Ho tanta strada da fare e tanto da imparare, non sono ancora nemmeno a metà del percorso”. Qui si vede l’acciaio sotto i guanti: ambizione sì, presunzione zero.

C’è anche un pianoforte, altra passione. “L’ultimo periodo sto facendo fatica a suonare”, confessa. Normale: la fidanzata è incinta, il piccolo Edoardo dovrebbe nascere a breve e in mezzo c’è la convocazione in Nazionale. Caprile scherza serio: spera che aspetti qualche giorno e aggiunge: “Sarò felice se sarò un bravo papà”. E qui c’è tutta la misura dell’uomo prima del portiere. Responsabilità, di nuovo. Non a caso la parola-chiave torna sempre.

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