Rossi-Marquez, retroscena da brividi: spunta un’altra verità

Rossi-Marquez, retroscena da brividi sul loro rapporto: spunta la verità dopo anni.

A quasi dieci anni da Sepang 2015, la ferita più celebre e ingombrante della MotoGP torna a pulsare nelle parole di Marc Marquez. Il campione 2025, oggi perno della Ducati ufficiale e fresco dell’aggancio a quota nove titoli mondiali, ha scelto il microfono di El Larguero per raccontare senza filtri il presente di un rapporto con Valentino Rossi che, di fatto, non c’è più.

Marquez, Rossi
Rossi-Marquez, retroscena da brividi: spunta un’altra verità (Instagram @marcmarquez93; @valeyellow46) – referendumcittadinanza.it

Il linguaggio è secco, chirurgico: “Lo saluterei? No! Non posso mentire. Ognuno fa la sua vita. Lui non ha bisogno di me, io non ho bisogno di lui. Ma il motociclismo ha bisogno di entrambi.” Una fotografia nitida della distanza che separa due icone che hanno disegnato un’epoca, oggi parallele ma non convergenti.

Rossi-Marquez, retroscena da brividi

Marquez non fa sconti neppure alla curiosità morbosa che li rincorre dal famigerato GP di Malesia. Sul presunto calcio di Rossi e su ciò che ne seguì a Valencia, alza un muro: “Chi vede questo tavolo nero, lo vede nero. Chi lo vede bianco, lo vede bianco. E chi lo vede marrone, lo vede marrone.” È il manifesto di un pensiero che non cerca nuovi capitoli, ma mette un punto.

Marquez, Rossi
Rossi-Marquez, retroscena da brividi (Instagram @marcmarquez93; @valeyellow46) – referendumcittadinanza.it

Anche quando gli chiedono se teme l’ossessione del decimo titolo di Rossi, la risposta è una fenditura netta: “Non credo. E sinceramente non mi interessa cosa pensa.” Le parole arrivano mentre lo spagnolo è in convalescenza dopo l’ultimo infortunio, a conferma di una bolla professionale in cui entrano solo le voci utili a vincere. “Le opinioni, il sensazionalismo e l’esibizionismo vendono, ma non mi riguardano”, dice, lasciando intendere anche un retrogusto polemico nei confronti del recente documentario Dorna che ha rinfocolato quel 2015 rimasto impresso nella memoria collettiva.

Nessun tentativo di riavvicinamento, nemmeno simbolico: la scena muta incrociata al Red Bull Ring, con i due a pochi metri senza neanche uno sguardo, è la prova teatrale di una distanza che pare strutturale. Eppure, nello stesso passaggio in cui nega l’ipotesi di un saluto, Marquez consegna una frase che pesa più delle altre: “La MotoGP ha bisogno di entrambi.” È la chiave di volta per capire il presente oltre la superficie della rivalità. Due numeri nove, due ere che si toccano: Rossi, il totem che ha trasformato la disciplina in un fenomeno globale; Marquez, il talento vorace che ne ha riscritto i limiti.

Indipendenti, antagonisti, ma insostituibili nel mosaico del Motomondiale. Dietro la durezza formale del “non ci salutiamo” si muove una verità meno appariscente: l’ecosistema MotoGP vive e prospera anche grazie a polarità così marcate. L’assenza di una pace pubblica, più che una ferita aperta, appare come un equilibrio funzionale, che protegge le traiettorie di entrambi. Nel paddock, dove ogni parola genera onde, l’idea di un gesto simbolico tra i due verrebbe immediatamente assorbita e moltiplicata, spostando i riflettori da squadre, gare e giovani protagonisti.

C’è poi un’altra sfumatura che spunta dalle pieghe dell’ultima intervista. Quando Marquez rifiuta l’arbitraggio definitivo sulle immagini di Sepang e si rifugia nel paradosso del “tavolo nero o bianco”, non sta solo irrigidendo una posizione. Sta anche sottraendo carburante a una contesa narrativa che periodicamente torna a bussare alla porta, complice la macchina mediatica e, oggi, la serializzazione documentaria degli eventi. Chiamarsi fuori dal gioco, per quanto possibile, significa proteggere la propria routine da campione e scansare l’effetto valanga che ogni sillaba su Rossi inevitabilmente produce.

In controluce, anche la figura di Rossi racconta un’altra verità. Il Dottore non è più soltanto il monumento alla carriera: è il fondatore della VR46 Academy, il manager di un team, il riferimento di un movimento che alimenta la griglia con talenti in serie. Non c’è bisogno di un dialogo diretto con Marquez perché le loro strade si incrocino ogni weekend, attraverso allievi, rivali, dati condivisi in Ducati, dinamiche di mercato e nuovi equilibri tecnici.

La distanza personale convive con una prossimità strutturale: l’architettura della MotoGP li tiene sullo stesso palcoscenico, anche se nessuno dei due vuole recitare la scena della riconciliazione. Il retroscena, insomma, non è un colpo di teatro ma un’inerzia di sistema: la freddezza come scelta, il silenzio come dispositivo di governo del rumore, la separazione come modo per evitare che il passato cannibalizzi il presente.

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