Anche in Italia scatta l’allarme: il rischio inondazioni è concrete e le conseguenze che possono derivarne, devastanti. Cosa sapere.
Le sferzate di scirocco, le mareggiate più frequenti e le piogge estreme trasformano in pochi minuti strade e lungomari in canali improvvisati, segnando una stagione di inquietudine per l’Italia costiera. La riduzione dei margini di adattamento naturale a causa dell’urbanizzazione spinta delle ultime decadi e il ritiro della linea di contatto tra terra e mare evidenziano una tendenza profonda che interseca clima, economia e assetti territoriali. Gli amministratori locali, i consorzi di bonifica e i tecnici della Protezione civile sono in prima linea per fronteggiare l’emergenza, aggiornando mappe e scenari di rischio.

La domanda che emerge è cosa accade quando l’innalzamento del livello del mare incontra coste già fragili, opere rigide di difesa, una pressione turistica e demografica elevata e una pianificazione territoriale non ottimale. Le nuove analisi rivelano un quadro complesso che tocca settori strategici come l’agricoltura, la logistica portuale e la disponibilità di acqua dolce, richiamando l’attenzione su scelte di lungo periodo ineludibili.
L’allarme: nel 2050 una spiaggia italiana su cinque potrebbe scomparire
Il Rapporto “Paesaggi sommersi” della Società Geografica Italiana mette in luce che, a causa dell’innalzamento dei mari, del rischio di inondazioni, dell’erosione e della pressione urbanistica e demografica, entro il 2100 diverse aree del Paese potrebbero trovarsi sotto il livello del mare. Circa il 20% delle spiagge italiane rischia di scomparire entro il 2050, con un impatto che non riguarda solo le località balneari ma anche fino a 800 mila persone potenzialmente costrette a ricollocarsi. Le aree più a rischio includono l’Alto Adriatico, tratti del Tirreno e zone in Sardegna, oltre al Delta del Po e la Laguna di Venezia.

Le opere di difesa come barriere frangiflutti e scogliere soffolte, pur proteggendo una parte significativa dei litorali bassi italiani, possono aggravare l’erosione nei tratti adiacenti e risultare economicamente onerose nel lungo termine. La pressione turistica e urbanistica rappresenta un altro fattore critico, con i comuni costieri che offrono il 57% dei posti letto turistici nazionali, mettendo sotto pressione infrastrutture ed ecosistemi.
Il settore primario non è esente dalla crisi, con più del 10% delle superfici agricole in aree costiere vulnerabili a sommersioni episodiche e salinizzazione. Anche le infrastrutture, come porti e opere connesse, sono esposte a impatti significativi, richiedendo adeguamenti e investimenti pluriennali. Le aree protette, pur coprendo circa il 10% delle acque e delle coste nazionali, spesso mancano di piani di gestione adeguati all’adattamento costiero.
La risposta alla crisi richiede un’azione coordinata che includa la rinaturalizzazione delle aree costiere, la delocalizzazione delle aree a rischio, la revisione delle difese rigide a favore di soluzioni basate sulla natura, l’aggiornamento dei piani urbanistici e di protezione civile, e il sostegno a modelli resilienti nel turismo e nell’agricoltura. La sfida richiede una governance capace di armonizzare le azioni di Stato, Regioni e Comuni, con tempi compatibili con l’accelerazione degli impatti climatici.




