“Morto a soli 16 anni” l’ex centrocampista di Milan e Roma svela il dramma nascosto

Un ex centrocampista di Milan e Roma ha svelato il dramma nascosto dietro i suoi successi, una tragedia che l’ha segnato nel profondo. Ecco cosa è successo.

A volte il pallone sembra un pianeta a parte. Luci, cori, vetrine: tutto luccica, nulla fa male. Non prendiamoci in giro: noi tifosi spesso ci beviamo questa favola. Poi basta una storia, una frase che scava sotto la superficie, e capisci che il calcio non è un’isola felice.

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“Morto a soli 16 anni” l’ex centrocampista di Milan e Roma svela il dramma nascosto (Instagram @diegofuser68) – referendumcittadinanza.it

È vita vera, dolore compreso. E qui, il nome è di quelli che ti riportano con i piedi per terra: un ex centrocampista di Roma e Milan ha svelato il dolore che ha segnato la sua vita e la sua carriera.

Il dramma dell’ex centrocampista di Roma e Milano

Diego Fuser, oltre 400 presenze in Serie A, una carriera che ha attraversato Torino, Milan, Fiorentina, Lazio, Parma e Roma. E un dramma che non fa sconti. Il bambino che andava allo stadio la domenica, portato dal padre, guardava Tardelli con gli occhi spalancati. “Mi piaceva da matti come stava in campo”, racconta Fuser. Cresce al Torino, e già dalla Primavera la rivalità con la Juve gli scolpisce addosso colori e scelte.

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Il dramma dell’ex centrocampista di Roma e Milano (Instagram @diegofuser68) – referendumcittadinanza.it

Nel 1989 arriva il Milan. Prima Sacchi, poi Capello. Il primo anno, ammette, “forse non ero al livello giusto”. Il secondo è la sliding door: rientra dal prestito alla Fiorentina, convinto di giocarsela, ma Capello prova Gullit esterno destro. Funziona. E quando funziona, nel calcio si chiude la porta agli altri. A giugno Fuser chiede di andare via. Lo chiama Zoff, e la scelta è biancoceleste. Quattro anni “bellissimi”, la fascia da capitano, coppe alzate. “Dispiace per come è finita…”, dice.

E qui si apre il capitolo che molti di voi ricordano: “Sono stato lasciato andare come fossi uno dei tanti”. Parole che bruciano, perché raccontano il lato più spigoloso del calcio: il potere negli spogliatoi. Non dribbliamo la questione: Fuser fa nomi e contesto. “Non è un segreto che Mancini avesse molto potere in quella Lazio. Eriksson lo ascoltava molto. Mandarono via me, Signori e altri. Avevano altri piani”.

Tradotto: la gerarchia tecnica non stava solo in panchina. Eriksson gli dice chiaro e tondo che, se a Parma offrivano di più, doveva andare. E la società? “La Lazio non fece nulla per tenermi.” È il momento in cui capisci che, a volte, i cicli si chiudono senza un abbraccio. Tre anni dopo, il destino riporta Fuser a Roma, ma sponda giallorossa. La scena è cinematografica: prima di Roma-Parma, ultima di campionato, Capello lo avvicina durante il riscaldamento e gli chiede se l’anno dopo andrà con loro. Risposta immediata: sì. Qualche settimana, e si formalizza tutto.

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Il dramma dell’ex centrocampista Milan e Roma (Instagram @diegofuser68) – referendumcittadinanza.it

Sì, smacco per i tifosi laziali. Sì, reazioni furiose. Ma Fuser non fa melina: non sarebbe mai passato direttamente alla Roma, ricorda, e nel mezzo c’erano state tre stagioni a Parma. “Spesso i tifosi non capiscono che per noi è un lavoro.” E qui, diciamocelo: quanti di voi non hanno mai pensato la stessa cosa? Il rispetto, però, dev’essere a doppio senso. “La Lazio non mi ha mai invitato all’Olimpico.” Un silenzio che fa più rumore di un fischio.

C’è un rimpianto che non lo molla: la mancata convocazione all’Europeo del 2000. Aveva giocato tutte le qualificazioni, come due anni prima con Maldini. Con Zoff, però, il rapporto “era diverso”. Si era infortunato ma stava recuperando; il CT decise di non portarlo. “È una ferita che non si è mai del tutto rimarginata.” E chi ha vissuto certe vigilanze azzurre sa quanto brucino.

Poi c’è il fuori campo, quello che nessun tabellino potrà mai contenere. Durante la seconda stagione alla Roma, Fuser “scappava dagli allenamenti” per correre in ospedale: il figlio Matteo stava male. Notti intere al suo fianco, con la moglie. “Abbiamo lottato tanto. Anche Matteo lo ha fatto.” Nel 2015, a soli 16 anni, Matteo se ne va. “Mi ha cambiato la vita, devastandola per sempre. Provi ad accettarlo ma cerchi risposte che non esistono.” Niente è più come prima. Eppure, tra le righe, resta una luce: “Il suo esempio mi ha dato tanta forza, viviamo per lui ogni giorno.

Resta la storia di un ex centrocampista di Milan e Roma che ha visto tutto: applausi, nastri di capitano, decisioni digerite a fatica, una Nazionale mancata e un dolore che non conosce rivali. Resta, soprattutto, l’idea che il calcio non sia un mondo perfetto ma uno specchio: riflette il meglio e il peggio di noi.

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