Jannik Sinner, le 3 curiosità sulla famiglia che solo i veri appassionati conoscono

Pensavate di sapere tutto su Jannik Sinner? Tenetevi forte: dietro il suo talento c’è una trama familiare fatta di montagne, libertà e piccoli grandi segreti che spiegano tanto — forse tutto — del suo modo di stare in campo. Curiosi di scoprire quali sono?

Jannik Sinner è, semplicemente, quel talento che ha rimesso l’Italia a sognare con la racchetta. Ha già messo in bacheca una vittoria in Australia, e lo ha fatto con quel mix di leggerezza e ferocia agonistica che ti tiene incollato alla tv. Classe 2001, nato il 16 agosto 2001 a San Candido (Bolzano), è alto 1 metro e 88 centimetri e porta con sé l’impronta della sua terra: è cresciuto in Val Fiscalina, in Alto Adige, un luogo che parla a voce bassa ma insegna a farsi ascoltare.

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Jannik Sinner, le 3 curiosità sulla famiglia che solo i veri appassionati conoscono (Instagram @janniksin) – referendumcittadinanza.it

Qui, nella zona bilingue, Jannik ha imparato a muoversi tra i confini con naturalezza: oggi parla tre lingue: tedesco, italiano e inglese. Una marcia in più per chi vive di tornei e aerei, certo. Ma soprattutto, un indizio. Già, perché la storia più interessante non è quella che si vede sul centrale, ma quella che si sussurra a bassa voce vicino a un camino — magari quello del Rifugio Fondovalle, che i suoi genitori, Siglinde e Hanspeter, gestiscono con la solidità di chi sa cosa significa lavorare duro. E qui arriva il primo lampo: non è solo talento, è radice.

Le 3 curiosità sulla famiglia di Sinner

Che Jannik sia cresciuto in una famiglia dove la scelta, l’accoglienza e la fiducia non sono parole a caso lo si capisce dalle sue stesse frasi. Dopo la vittoria in Australia, il ragazzo non ha parlato di numeri, bensì di cuore: “Grazie di avermi lasciato libero”, ha detto ai suoi.

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Le 3 curiosità sulla famiglia di Sinner (Instagram @janniksin) – referendumcittadinanza.it

E ancora: “I miei genitori che mi hanno sempre permesso di scegliere e non mi hanno mai messo pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la stessa libertà. Sono andato via di casa a 13 anni, costretto a crescere velocemente: ho imparato da solo a fare la lavanderia, a cucinare, a fare la spesa. Per un genitore lasciare andare un figlio così presto non è facile. Ci siamo persi molte cose che sto cercando di recuperare”.

Parole che fanno pensare. Libertà, fiducia, sacrificio. E allora la domanda è inevitabile: è qui che nasce il suo “ghiaccio bollente”? La forza delle lingue (e delle montagne). A Val Fiscalina, l’aria è fresca e le identità si intrecciano. Crescere in una zona bilingue significa abituarsi presto a cambiare registro, ad adattarsi, a capire senza tradurre. Risultato? Jannik oggi parla tedesco, italiano e inglese.

Non solo un vantaggio in conferenza stampa: è un esercizio di flessibilità mentale fin da bambino. Sarà anche per questo che in campo lo vedi cambiare piano partita con una naturalezza disarmante? Il rifugio come bussola. Mentre il mondo corre, a casa Sinner c’è un Rifugio Fondovalle da mandare avanti. I genitori, Siglinde e Hanspeter, non fanno proclami: fanno, e tanto. E in questo “fare” c’è quella scuola silenziosa che spesso vale più di qualsiasi discorso. Un rifugio è disciplina, accoglienza, ritmo delle stagioni. Tutto torna: la pazienza nei punti lunghi, la calma nelle tempeste, e quella cortesia che non è posa, è educazione di montagna.

Un fratello, una scelta, un legame. Mark, tre anni più grande, nato in Russia, adottato quando sembrava che un figlio non potesse arrivare: e poi ecco Jannik. È una storia di famiglia, sì, ma è anche un manifesto: amore è scegliere. Il fatto che tra i due ci sia un rapporto splendido potrebbe aver forgiato una normalità speciale, dove la competizione lascia spazio al sostegno. E quel “Grazie di avermi lasciato libero” suona come un filo rosso che unisce tutto.

Intanto, Jannik non è cresciuto in una bolla: è andato via di casa a 13 anni, ha imparato a fare la lavanderia, a cucinare, a fare la spesa. Gli piace ricordare che nessuno a casa gli ha mai messo pressione. Libertà, sì; ma anche responsabilità. E allora viene da chiederselo: il vero “metodo Sinner” è questo equilibrio perfetto tra autonomia e appartenenza?

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